giovedì 25 aprile 2013

Capitolo Dieci


«Va bene», risponde Everi al principe. «Accettiamo il suo invito.»
Sequoia, al suo fianco, non pare entusiasta, ma non commenta. Si limita anzi ad annuire, aggiustandosi il grosso zaino sulla schiena.
«Seguitemi, vi farò strada personalmente.» Riquet smonta da cavallo ed entra nella sua reggia, senza togliersi di dosso l'elegante armatura.
Everi e Sequoia obbediscono, lasciando però qualche metro di distanza tra di loro e il padrone di casa. Anna si accoda, pur essendo poco convinta della scelta fatta dai suoi nuovi compagni. Per natura non si fida delle creature di Perrault, e Riquet ha dichiarato senza mezzi termine di essere uno di loro.
Vern richiama l'attenzione della ragazza-fantasma con un fischio. Anna si volta. Il ladro ha un aspetto strano. È sudato, nervoso e ha le pupille dilatate. Le ricorda alcuni cortigiani che frequentava, soliti ad abusare di incensi fatti arrivare dal lontano Oriente. «Che c'è?»
«Fantasmino, devi farmi un favore», sussurra.
«Non capisco cosa...»
«E allora taci e ascolta. Non mi fido di quel mostro, a differenza dei miei due colleghi, che a quanto pare si sono bevuti il cervello a colazione.» Mentre parla Vern continua a massaggiarsi la spalla ferita. «Tu sei immateriale. Fatti un giro in questo palazzo e scopri cosa nasconde il principe aborto.»
«Le tue parole sono crudeli, ma condivido il tuo scetticismo.» Oramai sono a pochi passi dall'ingresso della reggia. Sequoia si volta e squadra malamente Vern e Anna, che si attardano a confabulare. «Che fate voi due?»
La ragazza sa di dove decidere in quell'istante cosa fare. La morte, che da moltissimi anni l'ha oramai colta, annulla tante umane miserie, ma non la paura. È conscia del fatto che i trafficanti di magia come Perrault, Oldisia e forse anche Riquet, conoscono molti modi con cui farle del male, nonostante non sia più viva. Eppure non tentenna più di tanto. «Io non posso entrare», esclama. «Per me sarebbe come ritornare al passato, nelle aule del crudele messer Barbablù, che causò la mia morte.»
Everi e Riquet si fermano a loro volta e la guardano. L'incantatrice e Sequoia hanno probabilmente intuito che Anna e Vern stanno escogitando qualcosa. Per fortuna entrambi tacciono, anche se il soldato ha un'espressione irritata dipinta sul volto. Il principe invece non batte ciglio. Del resto fin dal primo istante non ha dato molto peso ad Anna, considerandola forse poco più che uno scarto ectoplasmatico privo d'importanza. «Dunque aspetterai qui i tuoi compagni. Gira liberamente per il giardino, se preferisci.» Ciò detto Riquet si volta di nuovo ed entra a palazzo.
Sequoia ed Everi lanciano le un'occhiata perplessa ma non possono fare a meno di seguire il principe. Vern invece le passa a fianco e le strizza l'occhio. «Grazie dolcezza. Se scopri qualcosa di losco avvertici. Fallo prima che quei due fessi ci facciano finire male.»
«Ma io...» Anna non può concludere la sua domanda. Affrettando il passo Vern raggiunge i compagni e insieme a loro sparisce all'interno del palazzo.



La ragazza si guarda intorno per qualche istante, smarrita.
Il parco della reggia è come un quadro che immortala un meriggio primaverile, quieto e ordinato. I golem giardinieri proseguono nel loro lavoro senza badare a lei.
Anna conosce la natura artificiale e illusoria dei percorsi di Mamma Oca. Le strane persone a cui si è aggregata, dopo anni di prigionia, rappresentano la sua unica speranza di libertà. Per questo è disposta ad addentrarsi da sola in quel palazzo sconosciuto.
Ma a cosa può ambire un fantasma? Quale futuro può avere? Si domanda con tristezza, prima di iniziare l'esplorazione.
Gira attorno alla reggia, passando dal lato opposto delle scuderie, assai poco desiderosa di incontrare i catafratti del principe. L'edificio è imponente, ricco di dettagli nei fregi che adornano i cornicioni e i davanzali delle finestre abbellite da ricche tende ricamate. Probabilmente anche nel suo mondo, quando ancora era una donna in carne e ossa, esisteva un Riquet. Forse Perrault l'aveva destinato in qualche propaggine occidentale del regno del Re Sole, laddove serviva a irridere e a spaventare gli Asburgo di Spagna, a cui il principe deforme si rifà.
Anna si ferma sul lato sinistro della reggia. Sbirciando oltre le tende non ha visto altro che una serie di eleganti sale, non a caso sistemate secondo lo stile amato da Perrault, che alla corte francese occupava anche il ruolo di grande arredatore. Decide di entrare in un punto a caso, in una stanza vuota tra le tante.
Attraversare il muro le causa il consueto disagio, dato dal sentire l'essenza fluida di cui è composto il suo corpo che si mischia con la solidità della pietra. Una volta all'interno la ragazza nota che le sale, per quanto sontuose, danno l'impressione di essere assai poco utilizzate, così come testimonia la tanta polvere che copre il mobilio.
Senza più esitare si mette a gironzolare nella reggia, attenta soltanto a non farsi sorprendere da qualche servitore ligneo. Visita soggiorni, sale di lettura, un'ampia sala da ballo, ma anche stanze vuote e meste. Si ferma quando sente un chiacchiericcio alla sua destra. Con cautela si avvicina al muro e riconosce la voce di Riquet, che parla nel suo inglese fortemente accentato.
Anna sporge la testa nella parete, ignorando il disagio e stando ben accorta a non comparire completamente dall'altro lato, dove potrebbe essere vista.
Oltre il muro c'è una sala da banchetti, ricca di quadri e trofei guerreschi, con un lungo tavolo da almeno venti posti situato al centro. Due armigeri artificiali, di legno e verzura, sorvegliano l'uscita principale, fermi ai lati della porta a doppio battente, armati di lunghe alabarde. Riquet siede a capo tavola, mentre Everi e Sequoia sono accomodati ai due lati. Vern è invece appoggiato alla parete opposta a quella da cui sbircia Anna.
Il principe si è tolto i guanti d'arme e gli spallacci, ma indossa ancora la borgognotta decorata. «Dunque voi mi avete domandato di essere lesto a raccontare, e questa che vi ho detto è la mia storia», conclude Riquet. «Ora sono io che vi chiedo, nello specifico a lady Kendal: volete aiutarmi, e al contempo aiutare voi stessi?»
Sequoia incrocia le possenti braccia al petto, nervoso. «Mi faccia capire: Perrault le ha donato una bruttezza senza pari, tale da far perdere il senno a chi ha la sfortuna di guardarla senza maschera. Se però troverà una donna dallo stomaco abbastanza forte da non farsi venire un ictus mentre la osserva faccia a faccia, lei potrà renderla... cosa? Più intelligente?»
«Sunto rozzo, brutale e impreciso», commenta il principe a denti stretti. «La mia natura è tale che se una donna riuscirà a guardarmi senza ripugnarsi e impazzire, la mia deformità verrà curata. In cambio io trasmetterò alla dama misericordiosa tutta la mia conoscenza di colui che mi creò, ossia il crudele Perrault.»
«Una sorta di legamento d'amore molto più complesso e vincolato a un unico scambio d'emozioni», intuisce Everi.
Sì, pensa Anna, che di magia comprende alcune cose, grazie alle conoscenze tramandatele dalla sua povera madre. È così!
«In un certo senso», conferma infatti Riquet. «Proprio per questo ritengo che lei sia la donna giusta: lei capisce, lei può farcela. Non come le poverette che Perrault mi buttava in dono, sapendo che non avrebbero retto la prova.»
E la loro disperazione alimentava il lento rituale del malvagio stregone e della sua padrona, intuisce la ragazza-fantasma. L'abominio non ha fine.
Inconsapevolmente Riquet conferma i pensieri di Anna. «Quando mi rifiutai di continuare il gioco di Perrault, lui cancellò quasi tutti gli ingressi a questo mio piccolo mondo. Ma io non ho mai smesso di sperare che un giorno una pia donna arrivasse a salvarmi.»
«E perché mai Perrault l'avrebbe creata trasferendole parte del suo sapere?», interloquisce Vern, che ad Anna appare sempre più tirato in viso.
«Lo stregone mi ha dato la vita iniettando il suo stesso seme nel ventre di una cavalla. Parte di ciò che era in lui è stato trasmesso in me.»
«Dio, che schifo», risponde il ladro, senza riuscire a trattenersi.
«Sei crudele, ometto.» Riquet sembra sul punto di perdere la pazienza. Per fortuna Everi interviene.
«Mi dica, principe: cosa potremmo guadagnarci da questa condivisione?»
«Mia lady, lei guarda all'aspetto pratico del nostro patto, questo è saggio.»
«Non c'è ancora un patto», precisa Sequoia.
Riquet lo ignora. «Vi trasmetterò tutto ciò che so a proposito della magia di Perrault. Tanto vi basterà ad affrontarlo ad armi pari. Non avrete più bisogno di affrontare i percorsi. Sarete pronti a combatterlo.»
«Inoltre la sua rinnovata speranza, principe, inquinerà ulteriormente il rituale dello stregone e della sua padrona», aggiunge Everi, che sta valutando la proposta dell'homunculus.
«Esatto!»
«Aspetta un momento. Non ti fiderai davvero di quest'uomo, vero?» Sequoia si agita, pronto a combattere.
«Calmati», lo quieta Everi. «Stiamo solo parlando.» Quindi torna a rivolgersi al padrone di casa. «Devo pensarci su.»
«Mi pare giusto.» Il gobbo Riquet sembra sorridere, anche del suo viso trapelano solo pochi dettagli. «Vi concedo venti minuti. Del resto siete voi ad aver fretta, dico bene?»
Anna giudica di aver sentito abbastanza. Si ritrae e smette di spiare.



La ragazza è turbata e confusa. Non sa cosa pensare. Per indole non si fida delle creature di Perrault. La storia di Riquet potrebbe essere soltanto una complicata trappola di quelle che piacciono allo stregone. O forse no?
Schizza via, ricordando ciò che le ha chiesto Vern. Deve scoprire se la reggia nasconde qualche segreto, qualche indizio rivelatore. Approfittando della sua natura incorporea, Anna attraversa pareti e mobili, muovendosi a una velocità superiore a quella umana. Il primo piano non nasconde sorprese, se non una mezza dozzina di golem vegetali, tra cui altri tre armigeri, e gli altri vestiti da inservienti. Nessuno creatura la vede passare.
Scivola nel pavimento per cercare le cantine del palazzo. Le trova un po' a fatica, dopo essere filtrata attraverso qualche metro di spessa pietra. È un'esperienza che si rivela assai poco piacevole. Scopre infine il laboratorio magico di Riquet, una vasta stanza segreta dal soffitto arcuato. Dei globi luminosi appesi alle pareti la illuminano a malapena. Forse al loro interno vi sono intrappolati degli hinkypunk, i piccoli folletti della luce che Anna ha visto alcune volte nel suo mondo natio.
Strumenti alchemici, alambicchi e libri di incantesimi, di sortilegi e d'astrologia affollano il nucleo centrale del laboratorio. In un angolo della stanza sono accatastate delle pile di legna, di frutta, di verdura, e anche alcuni secchi pieni di foglie e di fascine d'erba.
Appoggiate alla parete lì accanto si vedono due golem vegetali costruiti per metà, più un terzo totalmente integro, ma ancora inanimato.
Anna vorrebbe tanto poter aprire quei libri, annusare le essenze chiuse nei barattoli, nelle fiale e nelle boccette, ma l'assenza di un corpo fisico le impedisce di farlo. È una sensazione frustrante. I suoi pensieri vengono distratti da un gemito animale. Viene dal secondo troncone del laboratorio, un'alcova oscura che non ha ancora esplorato.
La ragazza-fantasma fluttua in quella direzione. Entra in una stanza semicircolare, in nuda pietra, in cui sono allineate delle gabbie simili a quelle usate per rinchiudere le belve pericolose. Solo che in quelle gabbie non sono custodite delle fiere, bensì otto donne seminude, dall'aspetto selvatico e folle. Sono magre, scapigliate, sporche, coi corpi coperti di graffi e lividi. Alcune di loro indossano i brandelli degli strani abiti del mondo da cui vengono anche Everi, Vern e Sequoia.
Appena si accorgono di Anna, le selvagge si lanciano contro le sbarre, grugnendo e gemendo. Sono completamente fuori di senno, oramai simili a bestie. La ragazza capisce: è stato il principe Riquet a ridurle così, mostrandosi a loro senza maschere né veli.
Perché per Everi dovrebbe andare diversamente?
Anna sente l'urgenza di dover far qualcosa. Torna in laboratorio, colta da un'idea. Il golem inanimato è un ricettacolo, pronto a ricevere una scintilla di vita. Senza rifletterci troppo si infila nella bocca del costrutto, ricavata da un intreccio di rametti e da un melograno.
Possedere un corpo è una cosa che sa di poter fare, ma non ha mai avuto modo di provarci. Immediatamente sente il legno fondersi con l'ectoplasma. La sensazione è strana, innaturale. Le viene la tentazione di uscire, di staccare il contatto. Decide di resistere.
Dopo qualche istante si accorge di aver mosso il braccio destro del golem. Prova a fare qualche passo. Ci riesce.
È pronta ad agire.

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LA SCELTA


  • Volete che Everi si sottoponga alla prova richiesta dal principe Riquet, prima che Anna riesca a intervenire?
  • Preferite che Anna intervenga con la forza, sfruttando il golem che ha preso in prestito?
  • Oppure credete che tocchi a Sequoia intervenire per rifiutare la proposta di Riquet?

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NB.: Le prime due immagini utilizzate per questo capitolo sono di proprietà di Dan Hillier.

giovedì 18 aprile 2013

Capitolo Nove


Vern si tocca la spalla, cercando di nascondere una smorfia che non è di dolore, bensì di disappunto. La ferita non sanguina più né gli fa male. Dubita che sia solo grazie all'effetto del cicatrene e del bendaggio, quindi sa di doversi preoccupare. Sa anche che non deve mostrarsi troppo nervoso, perché i suoi compagni potrebbero decidere di lasciarlo indietro. «Perché dobbiamo infilarci proprio in quella botola?», chiede a Everi, che sta osservando l'incisione sulla medesima.
La Kendal allarga le braccia: «Lascia che ti spieghi. La magia che ha creato questi luoghi, voglio dire, i percorsi di Mamma Oca, è paragonabile a un complesso software che disegna mondi di realtà virtuale.»
«Non vorrai dirmi che siamo in una specie di Second Life», commenta il ladro, perplesso.
«Non proprio. I percorsi sono concreti. Solo il principio che ne regola la formazione è simile al linguaggio informatico.»
«Il che ci dà la conferma che Perrault è una carogna piena di risorse», sottolinea Sequoia, sputando a terra.
«Già», concorda Everi.
«Torniamo alla botola», insiste Vern. «Perché scegliere una deviazione di cui non conosciamo nulla? Non ti bastano i casini che già dobbiamo affrontare?»
«Perché, se per un momento immagini tutte queste tasche dimensionali come lo scenario di un programma informatico...»
«Qua sotto potrebbe esserci un bug di sistema», intuisce finalmente il ladro. «O un livello segreto.» Alza gli occhi su Anna, che se ne sta in un angolo, a fluttuare a pochi centimetri da terra. «Tu non ne sai nulla?»
«Nel mio mondo i percorsi magici di Perrault erano assai numerosi. So per sentito dire che a volte ne distruggeva qualcuno, forse soltanto perché gli veniva a noia. O magari perché smetteva di funzionare secondo il suo volere.»
Jones sbuffa e flette i muscoli. «Basta chiacchierare. Muoviamoci. Una strada vale l'altra, a questo punto. Se abbiamo la possibilità di rovinare la festa al francese, beh, vale la pena sfruttarla.» Detto ciò afferra il moncone di una picca rugginosa, recuperata tra le rovine, e la usa per far leva sulla botola. Non senza una certa fatica riesce a rovesciarla di lato. I quattro si trovano a fissare un buco oscuro da cui si sollevano fili di nebbia biancastra.
Sequoia mugugna. «Non c'è che dire: gli ingressi ai percorsi sono sempre invitanti.» Quindi lancia una rapida occhiata ai compagni e s'infila nel buco con un gesto atletico, scomparendo nelle tenebre.

Vern è l'ultimo a passare, dopo Anna, che si è limitata a fluttuare attraverso l'oscurità. Il ladro si cala nella botola senza provare alcun dolore, nemmeno nel momento in cui mette in movimento la spalla ferita per calarsi di sotto. Si aspetta di cadere malamente, invece i suoi piedi toccano terra dopo un saltello di poco più di un metro.
Si accorge di essere atterrato, non capisce bene da dove, sul pavimento in marmo di un colonnato a pianta quadrata, un edificio aperto ai lati, che dà su un parco ombroso, ben più ordinato e geometrico rispetto al bosco della Bella Addormentata.
Sequoia, Everi e Anna sono lì accanto e si guardano attorno. Vern invece osserva verso l'alto, notando soltanto il tetto in pietra grigia della struttura, forse un tempietto. Non c'è nessuna traccia della botola, niente di niente. Maledice tra sé e sé la lamia, non soltanto per la ferita che gli ha inflitto: nella colluttazione con la creatura ha anche perso gli occhialini incantati di Perrault, che in quell'occasione gli sarebbero tornati utili.
«Dove siamo finiti?», domanda Jones, scendendo per primo i tre gradini dell'edificio.
Il ladro si rivolge alla Bonacieux: «Casper, tu riconosci questo posto?»
«Vorrei che la smettessi di chiamarmi con un nome non mio.»
«Quello che vuoi, ma tu rispondi alla domanda.»
«No, non riconosco questo posto.»
Vern fa una smorfia e raggiunge Sequoia. Il gigante, vedendolo arrivare, si volta e alza di qualche centimetro la spada. «Non venirmi alle spalle.»
«Qual è il tuo problema, Conan? Non vedi che non mi è successo nulla?» Non ancora, aggiunge tra sé e sé. Ma il formicolio che sente lungo tutto il braccio sinistro, partendo dal morso sulla spalla, gli fa temere il peggio.
«È un tempio astrologico», dice Everi, interrompendo il battibecco. La maga è scesa a sua volta e sta osservando i bassorilievi esterni, che rappresentano personificazioni di costellazioni, simboli zodiacali e altri simboli misteriosi.
Vern fa per ribadire quando un rumore lo zittisce. «Avete sentito?»
«Cosa?», gli chiede Sequoia, preoccupato.
Poi tutti se ne rendono conto: ci sono dei cavalli che si stanno avvicinando dal viale che porta dritto al tempio, uno sterrato ben curato, che passa attraverso una lunga fila di olmi.
Jones impreca, poi si rivolge alla Kendal. «Tu come sei messa? Riesci a reggere un altro combattimento?»
Everi annuisce. «Sono stanca e ho la testa che mi scoppia, ma non ti lascerò solo.»
«Che piccioncini», ironizza Vern. «Nessuno però pensa a me, cazzo. Ho perso il mio coltello, sono disarmato.»
Senza dire nulla Jones estrae un pugnale dalla tasca laterale del bergen e lo porge al ladro. È una specie di stocco dalla lama dritta e appuntita, senza particolari fronzoli estetici. A Vern ricorda qualcosa che ha visto al cinema, anni prima di venire a conoscenza del Mondo Nascosto, salvo poi scoprire che armi come quelle a volte hanno una corrispondenza nel reale. O almeno così dicono alcuni testi in possesso al suo ex maestro. «È un pugnale di Megiddo?», domanda a Sequoia.
«Ottimo contro i demoni di qualunque tipo. Andrà benone anche per i mostri di Perrault.»
«E tu come fai ad averne uno?»
Jones gli fa cenno di tacere. Dei cavalieri stanno sbucando nella radura dove si trova il tempio.



Sono in cinque. Montano destrieri scolpiti in legno, ma animati. Si notano i meccanismi che muovono le articolazioni delle zampe, il collo e gli altri muscoli. Portano delle bardature su cui è dipinto un'insegna nobiliare che rappresenta un grifone nero in campo giallo.
I cavalieri non sono meno stravaganti. Indossano delle armature a tre quarti, prive di schinieri e dotate di elmi borgognotta decorati sui guanciali con disegni di ali spiegate. Quattro di loro sono armati con archibugi, sciabole da cavalleria e lance da caccia dalla lama a foglia. Il fatto è, come nota Vern, che non sono umani. Sono creature vegetali, fatte di radici e rami intrecciate, con fili d'erba e foglie al posto dei capelli e bacche violacee come occhi.
Soltanto il quinto cavaliere si distingue. Innanzitutto perché la sua armatura è ancora più elaborata e arricchita da un mantello di raso color ocra. Inoltre è umano, anche se le fattezze che si scorgono dietro il metallo sono orrende. L'uomo ha un occhio molto più grosso dell'altro, il mento prominente, la fronte alta e piatta e un unico ciuffo di capelli neri che sbuca dall'elmo. Come se non bastasse è evidentemente gobbo.
I cinque si fermano a una dozzina di metri dal tempietto. Il loro capo sciorina qualcosa, una domanda, in uno spagnolo talmente strano che Vern non comprende una sola parola.
«Parlate l'inglese?», risponde Everi, sulle difensive.
«Certo che sì», conferma l'uomo, con un accento impeccabile. «Il vostro arrivo era suggerito dalle mie previsioni astrologiche, ma ciò non di meno mi ha stupito. Da tempo nel mio regno non giungono degli estranei. Tra l'altro vedo che con voi viaggia anche una creatura fatta di sol spirito.»
Vern è stupito. Si aspettava un approccio assai più ostile da parte dei cavalieri. Lascia che sia la Kendal a occuparsi di quel primo contatto. Everi stessa sembra perplessa, ma non arretra d'un passo. «Con chi ho l'onore di parlare?»
«Sono il principe Riquet e questo è il mio dominio. Esso appartiene al mondo alchemico creato dal subdolo messer Perrault. I miei cavalieri, come potete vedere, sono golem lignei. Io stesso sono stato coltivato dal diabolico stregone. Mia è infatti la natura di homunculus.»
La rivelazione del principe coglie del tutto impreparati i tre avventurieri e Anna. Everi si chiarisce la voce, alla ricerca di una risposta adeguata. Per prima cosa presenta il gruppo, per ricambiare la cortesia, poi azzarda un interrogativo: «Altezza, dalle sue parole lei pare essersi liberato dal giogo maligno di Perrault. Forse non è nemmeno più al suo servizio. Quel che dico è corretto?»
«Lo è.» Non c'è esitazione nella voce del gobbo.
«Ci avete trovati alla svelta», interloquisce Sequoia, stanco di quei salamelecchi.
«Solo fortuna. Eravamo a caccia.»
«A caccia in un reame posticcio, abitato da creature artificiali?», ironizza Vern.
«Da quanto ho preso il possesso di questo dominio, ho fatto quanto in mio potere per animarlo di vera fauna. Per quanto mi è concesso dalla magia studiata sugli antichi tomi incautamente lasciati qui da Perrault, ho potuto ricreare della semplice vita animale.»
«Quindi è anche lei un alchimista», afferma Everi.
«E anche qualcosa in più», conferma il gobbo. «Ma non abbastanza per fuggire dalla prigione per occupare la quale sono stato messo al mondo.»
Per qualche istante nessuno parla. I cavalieri si limitano a fissare i nuovi arrivati coi loro piccoli occhi neri. Alla fine è Anna a rompere l'imbarazzo. «Principe Riquet, io stessa sono stata schiava dello stregone che ha costruito i percorsi. Ordunque, visto che anche lei si è ribellato all'oscuro volere di messer Perrault, può forse aiutarci a sconfiggerlo definitivamente?»
Negli occhi asimmetrici del gobbo fa capolino uno sguardo intenso. «Lo spero. Vogliate seguirmi a palazzo. Parleremo in modo più civile di tutto questo.»

Di tacito accordo, troppo stanchi per sfidare Riquet e i suoi pretoriani, i quattro seguono i cavalieri attraverso l'elegante parco di quella che pare essere una reggia.
Il principe galoppa in testa, seguito dai golem, senza più parlare. Vern è preoccupato per quell'ennesima deviazione di percorso. Sente che nel suo corpo si sta diffondendo un calore innaturale, che pulsa appena sotto la pelle. È qualcosa che lo fa sentire al contempo più in forma, ma anche terribilmente assetato. Il che conferma i suoi sospetti più cupi. Sa che un mago sufficientemente potente potrebbe curare gli effetti del morso della lamia. Il fatto che Riquet si sia definito alchimista gli dà l'unica, piccola consolazione del trovarsi lì, a passeggiare in quella tasca dimensionale sconosciuta.
«Tutta questa faccenda mi ricorda qualcosa», sussurra Everi mentre camminano. «Una fiaba minore, di quelle non ancora recuperate dalla Disney, ma che non riesco a focalizzare.»
«Consulta Wikipedia», la schernisce Vern, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della Kendal.
Sequoia si rivolge ad Anna: «A te questo gobbo aborto di natura non fa proprio venire in mente nulla?»
Il fantasma scuote il capo. «Le creature di Perrault nel mio mondo erano oramai tanto numerose che una semplice damigella come me non poteva conoscerle tutte. L'insegna di codesti cavalieri mi rammenta quella di alcuni casati minori degli Asburgo di Spagna, il che potrebbe confermare la volontà dello stregone di dileggiare i vecchi nemici del Re Sole.»
«Un'informazione che ci aiuta poco», grugnisce Jones.
Quindi tutti si azzittiscono perché dopo una svolta a gomito del viale si vede finalmente la loro meta.



La reggia di Riquet è in stile barocco, a pianta rettangolare, alta tre piani, ricca di finestre che si affacciano su un giardino all'inglese. Nell'ampio spiazzo davanti all'ingresso, lastricato con piastre di granito, è posta una maestosa fontana al cui centro svetta la statua della Dea Artemide, scolpita a cavallo di un cervo.
Un paio di giardinieri stanno potando le siepi perimetrali. Anch'essi sono golem di legno e radici. Nel prato gironzolano pacifici alcuni pavoni, almeno questi reali, che voltano le teste per osservare il corteo che si avvicina.
Riquet ferma i suoi e fa cenno loro di andarsene. I cavalieri deviano verso destra, in direzione di un'ala che pare ospitare le scuderie di palazzo. Il gobbo si rivolge ai suoi ospiti, soffermandosi qualche attimo in più a osservare Everi. «Vogliate accettare la mia ospitalità. Farò preparare un pranzo in vostro onore.»
«Altezza», replica la Kendal, cercando di nascondere la tensione. «Purtroppo la nostra missione richiede una certa urgenza. Non si offenda ma non possiamo fermarci a lungo. La prego di spiegarci come e se può aiutarci a sconfiggere Charles Perrault, oppure di indicarci come tornare nei percorsi di Mamma Oca.»
Per un momento Riquet sembra irritarsi, tanto da muoversi a disagio sulla sella. Quando però parla mostra la consueta educazione. «Capisco benissimo. Allora affretterò i tempi. Entrate a palazzo e discutiamo il da farsi.»
Vern osserva i compagni. Sequoia è nervoso, ma a quanto pare ha deciso di lasciare a Everi ogni decisione. Anna, dal canto suo, si è fatta taciturna e pare quasi svanire alla luce del sole che splende sulla reggia. Il ladro si chiede quanto di quel che hanno attorno è vero e quanto è illusorio. In lontananza, oltre il giardino, il paesaggio campestre dà l'idea di essere dipinto. Si riscuote subito da quei pensieri oziosi. Senza farsi vedere si massaggia il braccio indolenzito e valuta come agire, certo che i suoi compagni stanno facendo la stessa cosa.
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LA SCELTA


  • Volete ascoltare la proposta del principe Riquet attraverso il POV di Everi?
  • Preferite seguire Vern, che con un semplice stratagemma potrebbe lanciarsi nell'esplorazione solitaria della reggia?
  • Oppure pensate che tocchi ad Anna tentare di scoprire da sola i segreti che nasconde il principe Riquet?
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giovedì 11 aprile 2013

Capitolo Otto


Sequoia vede le creature sbucare dagli alberi. Sono molto veloci, tanto che sbarrano la strada a lui e a Everi, impedendo a entrambi di raggiungere Vern, già impegnato in un letale corpo a corpo col mostro del baldacchino.
Gli esseri vomitati dalla foresta sono ibridi tra donne e rapaci. Hanno corpi deformi, coperti da macchie di piume, con grossi seni avvizziti. Le loro teste sono simili a quelle di gufi e di allocchi, tranne che per gli occhi e per i nasi, inconfondibilmente umani. Le ali che sbucano dalle loro schiene non sono in grado di farle volare, ma le megere le mulinano comunque, quasi come se fossero delle eliche. Artigli affilati grattano il terriccio mentre le bestie scattano contro i due avventurieri, emettendo versi striduli.
«Siamo fregati», sospira Everi, agitando la mano destra, pronta a difendersi con qualche incantesimo.
«Mettiamoci schiena a schiena», la incita Sequoia. Come spesso gli accade, il pericolo imminente gli trasmette un'insolita lucidità mentale.
La ragazza dimostra buona presenza di spirito e ascolta il consiglio di Jones. Si appoggiano l'uno all'altro, lo spandex della Kendal a contatto col corpetto in kevlar del guerriero. Le prime megere sono a meno di sette metri. Sequoia ne conta un totale di trenta, divise sui due lati dei sentieri, la metà in avanguardia, le altre poco più dietro. Sono quasi certamente arpie, di qualche sottospecie che non conosce. Ha già affrontato mostri del genere in una missione nei Campi Flegrei, ma era con un plotone dell'Ordo Draconis, e le arpie erano più piccole.
«Conosci magie di controllo degli spiriti elementali, giusto?», dice alla ragazza, senza voltarsi.
«Qualcosa del genere.» La voce di Everi trema.
«Allora tira fuori il meglio che sai fare, perché qui rischiamo grosso.»
«Vern...»
Jones scuote la testa. «Al momento non possiamo aiutarlo. Vediamo di sopravvivere, poi ci penseremo.»
Non ha tempo di aspettare ulteriori conferme da parte della ragazza: le prime arpie attaccano, due per lato. Sequoia rotea la spada e trancia di netto il braccio destro del mostro che lo carica da sinistra, quindi devia la traiettoria della lama e infilza l'altra creatura, passandola da parte a parte. L'arpia cade a terra strillando d'agonia, mentre quella mutilata tenta comunque di graffiarlo col braccio integro. I suoi artigli grattano il corpetto in kevlar, poi Jones la colpisce all'addome con una ginocchiata, piegandola in due. Approfitta infine del vantaggio per trapassarle la nuca con un affondo preciso.
Il gigante non ha però nemmeno il tempo di respirare: altre due arpie gli sono quasi addosso. Mentre si prepara a difendersi sente un risucchio d'aria alle sue spalle. Con la coda dell'occhio vede che tre dei mostri che stanno attaccando Everi vengono sollevati in aria da un vento impetuoso che pare sorgere da terra. La Kendal agita le dita come se stesse tirando i fili di una marionetta e sussurra parole di comando. Con un gesto brusco spedisce le megere in altro, scaraventandole contro i rami più alti degli alberi secolari.
«Brava ragazza», sussurra Sequoia, quindi vibra un fendente alla creatura dalla testa di civetta che gli sta balzando addosso, spaccandogli il volto in due.
«Non resisterò a lungo», replica Everi con voce affannata.
Il soldato para l'artigliata dell'ennesima arpia e la colpisce allo sterno con un calcio, facendola ruzzolare nella macchia di verde ai margini del sentiero. «Puoi aprirci la strada verso il baldacchino?», domanda alla ragazza.
Il percorso davanti a loro è oramai occupato dalle megere strillanti. Crearsi un varco a fendenti è impossibile.
Everi alza una mano al cielo e un'altra arpia viene investita da una potente folata di vento che la sfracella contro un tronco. La maga prende fiato. «Forse posso farlo, ma esaurirò le mie forze. La magia di comando è estenuante.»
Jones non ci pensa su. «Vai.»
La Kendal alza la voce. Le parole del suo incantesimo ora vibrano potenti. Un mulinello d'aria circonda i due avventurieri; nel giro di un paio di secondi diventa un piccolo tornado. La potenza della mini-tromba d'aria raccoglie rami secchi, sassi e foglie d'edera, ma soprattutto impedisce alle arpie di tornare all'attacco.
Sequoia è impressionato. Sa come funziona la magia di comando: rielabora il tessuto della realtà attraverso parole di potere. È un po' come riscrivere un codice informatico. Ciò che sta facendo Everi non è affatto di poco conto. «Puoi muovere il tornado con noi?», le urla, per farsi sentire al di sopra del sibilo assordante del vento.
La ragazza è pallida e sudata. «Solo per un minuto, al massimo un minuto e mezzo.»
«Portaci vicino al baldacchino.»
La Kendal esegue. La tromba d'aria inizia a spostarsi lungo il sentiero, obbligando le arpie a scansarsi. I due tengono il passo, pronti a tutto. Sequoia sa che nel momento in cui Everi non riuscirà più a mantenere l'incantesimo, loro due saranno spacciati. Cerca di non pensarci. Con una lentezza esasperante arrivano finalmente nel punto in cui si concentrano le rovine dell'edificio adagiato sul letto di rampicanti.
La ragazza inizia a vacillare. Non interrompe la sua cantilena, ma socchiude gli occhi e procede come in sonnambula. «Cerchiamo di raggiungere Vern», grida Jones, cercando di tenerla cosciente. «Queste megere pennute ci hanno attaccato nel momento in cui la bella addormentata gli è saltata addosso. Se riuscissi ad ammazzarla...»
Il suo buon proposito viene disilluso due secondi dopo, quando Everi crolla in ginocchio, esausta. Il tornado, che nel mentre ha raccolto altre pietre e detriti, va esaurendosi quasi immediatamente, provocando una pioggia di macerie e foglie in tutta la radura.
Le arpie sono ancora lì, pronte ad approfittare di un'occasione del genere. Sequoia guarda alla sua destra. Il baldacchino è a dieci metri dalla loro posizione, ma non c'è traccia di Vern, né della creatura che l'ha attaccato. Potrebbe essere sprofondato nella massa di rampicanti e rovine situata attorno al sentiero, ma non ha modo di verificare quel sospetto.
Il soldato stringe l'elsa della spada. «E va bene, troie mefitiche. Vediamo quante di voi riuscirò ad affettare prima di diventare il vostro pranzo.»

Sequoia si mette davanti a Everi, che non riesce ad alzarsi né a reagire. Per quanto gli è possibile farlo, la difenderà.
Questa volta le arpie attaccano da tutti i lati, prendendo coraggio dalla prospettiva di una facile vittoria.
Jones impugna anche il coltello da combattimento, nella sinistra, e inizia una furiosa danza di morte. Affonda e vibra fendenti, ruotando a 360 gradi, tagliando carni, mutilando braccia, sventrando e spiccando teste. Ora però le arpie sono impietose e selvagge. Gli artigliano i bicipiti, gli scavano profondi graffi sulla coscia sinistra, strappando la stoffa dei pantaloni e lacerando la carne.
Nel giro di pochi secondi attorno a lui ci sono i cadaveri di sei megere, ma al contempo Sequoia sanguina da diverse ferite e, soprattutto, si sente i muscoli infiammati e stanchi. Accetta l'idea della morte, come ha sempre fatto, ma sa che questa volta il suo fallimento avrà delle conseguenze gravi. Stringe i denti, rabbioso. «Avanti», incita le creature. «Vi infilo la spada nel culo, una alla volta.»
Le arpie stridono e si preparano a un nuovo assalto in massa. L'ultimo, probabilmente.
Un altissimo urlo femminile di dolore le congela sul posto. Le megere si guardano in faccia, spaventate e incredule, quindi si ritirano verso la foresta emettendo dei piagnistei più umani che animaleschi.
Everi si aggrappa alla gamba di Sequoia e si rialza barcollando. «Cosa...»
In quel momento Anna Bonacieux fa la sua comparsa, emergendo da dietro la collinetta di rampicanti e macerie. «Venite da questa parte», sollecita.
Il soldato aiuta la Kendal a camminare, cercando di ignorare il bruciore delle ferite. Seguono la ragazza fantasma. Anna li conduce dietro il baldacchino deserto, in un punto in cui lo spesso mantello di edera è sprofondato a causa del peso di due corpi. Vern Achilles sta emergendo da quella verzura, districandosi da sotto il cadavere di una donna-serpente vestita in un ricco broccato rinascimentale. Sequoia riconosce una lamia, una pericolosa creatura del mondo nascosto, a metà tra il demone e il vampiro. Non ne ha mai combattuta una, ma la loro pericolosità è risaputa.
«Aiutatelo», supplica Anna.
Jones scosta il mostro con un calcio, girandolo supino. La donna, di bell'aspetto nonostante la pelle scagliosa e l'appendice serpentina che sostituisce le gambe, ha il serramanico di Vern piantato nel petto. È morta.
Il ladro apre gli occhi. È ricoperto di minuscoli, diffusi tagli e graffi, e ha una grande macchia di sangue sulla spalla sinistra, tale da impregnargli la felpa quasi fino alla vita. «Oh cazzo», mugugna, afferrando la mano tesa di Sequoia per rimettersi in piedi. «Alla fine non c'era nessuna fata Carabina.»
«Carabosse», lo corregge Anna, in automatico.
Vern fa una smorfia. «Grazie della precisazione, Casper.»
«Come hai fatto ad ammazzare una lamia?», gli chiede Sequoia, cercando di valutare le condizioni dell'amico.
«Il coltello di Dillinger è fatato, riesce a ferire creature soprannaturali. Gliel'ho piantato nel cuore.»
«Complimenti. Non è facile vincere un corpo a corpo con queste...» Jones non finisce la frase perché intuisce la verità. Con un gesto brusco scosta il colletto della felpa di Vern. La ferita alla spalla ha l'inconfondibile forma di un morso.
«L'ho distratta offrendole il pranzo», ammette il ladro. «Quando pensava di avermi soggiogato ha allentato la presa, e io l'ho pugnalata.»
«Il morso è infetto», interloquisce Everi, ora un po' più sveglia. «Non ne conosco gli effetti precisi, ma ricordo che in qualche modo corromperà il tuo sangue.»
Vern impallidisce. «La tua magia può curarmi?»
«No.»
Sequoia soppesa la spada. È una buona lama. Il lupo stilizzato inciso su un lato e la scritta me fecit solingen la identificano come un'arma fabbricata da qualche mastro fabbro di Solingen. «Potresti diventare un problema», dice, guardando il ladro negli occhi. «Un nostro problema.»
«Ehi, frena. Non mi trasformerò in uno zombie o in un vampiro sul più bello, per morderti il culo.»
«E tu che ne sai?»
«Quindi vorresti decapitarmi per toglierti il pensiero?»
Everi e Anna si mettono tra i due uomini. La Kendal alza la voce. «Nessuno farà nulla di improvvisato. Staremo solo molto attenti agli... sviluppi.»
Sequoia valuta le parole della ragazza. Nell'Ordo gli hanno insegnato a essere deciso e spietato coi commilitoni infettati da qualche creatura demoniaca. Questa volta però vuole essere un po' più flessibile. «Ok, per ora non pensiamoci. Piuttosto: abbiamo fatto tutto questo macello per aiutare chi?»
Anna indica i rampicanti. «Gli spiriti dei giovani che sono stati sacrificati alla lamia stanno finalmente abbandonando le loro ossa consunte. Ma anche Anna Maria Luisa de Medici ha trovato la pace.»
«Chi?», replica Sequoia, perplesso.
«La fottuta lamia», risponde Vern. «A quanto pare era una nobildonna presa in ostaggio da Perrault nel suo mondo d'origine, prima di svernare qui da noi.»
«Il malefico l'ha senz'altro trasformata in una lamia grazie alle formule del suo libro magico», conclude la Bonacieux. «Ora noi l'abbiamo liberata.»
«Tu la vedi?», domanda Everi.
«Sì. A breve lascerà i percorsi di Mamma Oca insieme agli altri spiriti.»
Sequoia sospira e si sfiora uno dei graffi sulle braccia. «Spero che questo metta i bastoni tra le ruote al rituale della vecchia bagascia. Ora però cerchiamo un'uscita.»
Vern annuisce. Fa per recuperare il serramanico dal corpo della lamia ma poi ci ripensa e lo lascia lì. Meglio non rischiare un involontario risveglio.



Per prima cosa i tre utilizzano il kit di pronto soccorso di Sequoia per medicarsi le ferite, abbondando nell'utilizzo di cicatrene e di pomata antibiotica, per combattere le possibili infezioni causate dagli artigli e dalle zanne dei mostri. 
Everi pulisce e medica il morso sulla spalla di Vern, che dopo l'abbondante emorragia ha smesso di colpo di sanguinare. Nonostante tutto il ladro sembra abbastanza in forma, anche se la ferita ha un brutto colorito violaceo che si estende anche al resto della spalla.
Visto che le arpie sono tornate nella foresta e lì sono rimaste, il gruppo si dedica all'esplorazione delle rovine. Dopo qualche minuto trovano i resti di una scala, coperta dalla vegetazione, che porta in quelle che dovevano essere le cantine dell'edificio.
L'unico locale sotterraneo che si è salvato dal crollo è una spoglia stanza in muratura, a pianta quadrata, vuota, se si eccettuano tre porte, una per ciascuna parete, tranne ovviamente quella da cui sbuca la scala.
Sulla porta di destra campeggia la xilografia di una scarpetta di cristallo, su quella al centro quella di Barbablù, su quella di sinistra una che rappresenta un'oca col cappello da dama.
«Se vogliamo continuare nella nostra opera pia, sappiamo quale percorso ci manca», ironizza Sequoia, indicando la porta col disegno della scarpetta.
«Ancora un piccolo sforzo», commenta Anna.
«Non vedo l'ora di scoprire l'ennesima perversione di Perrault.» Sospira Everi. La maga pare essersi ripresa, anche se ha scolato quasi un litro di integratore al gusto d'arancia e ha ancora sete.
«E se vi regalassi un bonus?» L'uscita di Vern catalizza tutte le attenzioni su di lui. Il ladro è inginocchiato a terra. Sta spolverando un tratto di pavimento con uno straccio, illuminando il suo lavoro con uno zippo. «Guardate un po' cos'ho trovato.»
Sequoia si china e la vede: c'è una botola segreta, un lastrone di pietra che può essere sollevato facendo leva con qualcosa. Al centro della botola c'è un'incisione che raffigura un uomo magro e gobbo, con un solo ciuffo di capelli che gli spiove sugli occhi. I ricchi vestiti che indossa non diminuiscono in alcun modo la sua bruttezza.
Jones si gratta la testa, perplesso. «E questa, che roba è?»
«Un livello bonus», scherza Vern.
«Una trappola», ipotizza Everi.
«Che si fa?», conclude Anna, che una volta tanto non ha una risposta certa da dare.

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LA SCELTA (1)


  • Volete che aprano la porta dei Cenerentola?
  • Preferite che risparmino le forze e che abbandonino i percorsi attraverso la porta di Mamma Oca?
  • O volete che esplorino la botola misteriosa?

LA SCELTA (2) Quale POV (punto di vista) desiderate per il prossimo capitolo?


  • Everi Kendal
  • Vern Achilles
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giovedì 4 aprile 2013

Capitolo Sette


Vern capisce di aver perso quando nota l'occhiata d'intesa tra Sequoia ed Everi.
«Va bene», dice infatti il gigante. «Questa missione è evidentemente non convenzionale. Faremo tutto ciò che possiamo per portarla a termine.» Gesticola verso Anna Bonacieux. «Compreso ascoltare i consigli di un fantasma.»
Il ladro sospira. Tra Jones e la Kendal sta nascendo una una strana sintonia. Per un attimo Vern valuta anche l'ipotesi che Everi stia utilizzando qualche incantesimo per tenere a bada il soldato dell'Ordo. Da quello che ha capito la strega è esperta in magie di comando, non in malie vere e proprie, tuttavia la ragazza potrebbe nascondere diversi segreti.
«Posso liberarti», dice Everi, rivolta ad Anna.
«Dal sigillo che mi tiene imprigionata?»
«Sì.» La Kendal si guarda intorno, sussurra qualcosa, quindi si china vicino al tavolo da lettura, poggiato su un polveroso tappeto persiano. «Qui sotto.»
Sequoia intuisce e, senza troppe cerimonie, sposta le sedie e il tavolo, sbuffando per la fatica. Mentre il gigante gioca al traslocatore, Vern ne approfitta per inforcare gli occhiali di Perrault e per dare un'occhiata di nascosto alla Bonacieux. A parte la fluorescenza che l'avvolge non pare nascondere una seconda natura o altre brutte sorprese. Il ladro sospira di nuovo, rincuorato almeno in parte.
Sotto il tappeto c'è il sigillo magico che cerca Everi. La ragazza lo esamina e poi si inginocchia davanti a esso, pronunciando una delle sue formule. Il sigillo, tracciato con del gesso o con un materiale simile, si affievolisce e infine si cancella, come se non fosse mai esistito.
«Ecco», sorride la Kendal. «Ora sei libera.»
Anna la guarda, incredula. «Non so come ringraziarti.» Se avesse ancora la capacità di piangere forse lo farebbe.
«Niente pace eterna?», ironizza Vern, ancora indispettito per il complicarsi delle cose.
«Non ne ho idea», risponde Anna, smarrita.
Il ladro si sente un verme per la battuta che ha fatto, ma è un disagio che dura solo un attimo. «Senti, a questo punto credo che dovresti venire con noi. Nessuno ti obbliga a restare in questo percorso di Mamma Oca, no?»
«Credo di no. Forse potrei tornarvi utile.»
«Allora muoviamoci», taglia corto Sequoia, oramai incline ad accettare ogni sorta di bizzarria.

Proprio come ha spiegato la Bonacieux, uno degli scaffali lungo il piano ammezzato della biblioteca è in realtà un passaggio segreto. Trovata la leva di comando Vern lo fa scorrere di lato, rivelando un comparto di parete che nasconde due porticine in legno. Ciascuna di essere ha una xilografia al centro: la prima raffigura una fanciulla assopita, la seconda una scarpetta di cristallo.
«Allora vogliamo provare prima con la Bella Addormentata?», chiede il ladro.
«Una vale l'altra.» Jones fa spallucce.
«Allora prego, apri pure», lo canzona Vern.
Il soldato non batte ciglio e abbassa la maniglia, la spada stretta nella destra, pronta all'uso. Spalanca l'uscio, ma dietro di esso c'è solo un buio fitto e impenetrabile.
Everi punta la torcia nelle tenebre, cercando di distinguere qualcosa. La Maglite si è quasi del tutto scaricata per colpa della decadenza alchemica. Il debole fascio di luce non fa altro che riflettersi su un sbuffo di nebbia, pochi metri oltre la soglia.
«Invitante», mugugna Jones, soppesando la lama in mano, nervoso.
Dimostrando ancora una volta di non difettare in coraggio, la Kendal si lancia in avanti e scompare nel buio. Anna la segue a ruota, fluttuando oltre la porta.
Vern guarda Sequoia. È la seconda volta che si fanno precedere dalla collega. Questa volta sono stati anticipati perfino dalla ragazza-fantasma. Il gigante grugnisce qualcosa e poi fa cenno all'amico che è ora di andare. «Forza, che qui stiamo accumulando figuracce a ripetizione.»
Evitando di dire ciò che pensa in merito, il ladro socchiude gli occhi e varca la soglia.

Una volta superata la coltre di tenebre i quattro si trovano nel bel mezzo di fitta e ombrosa foresta. Alti e ritorti alberi si stringono attorno al sentiero sterrato che stanno calcando. Un sole debole e pallido filtra a malapena tra i rami e le foglie tinte di colori autunnali.
Per prima cosa Vern si guarda alle spalle. Non vede più la porta, non ce n'è traccia. È quasi certo che inforcando gli occhiali di Perrault riuscirebbe a individuarla di nuovo, tuttavia preferisce tenerli solo per sé, ancora per un po'.
Sequoia sta sbirciando qualcosa poco più avanti, ai margini del sentiero, mentre Everi e Anna guardano tra gli alberi. Ci sono dei rumori, in lontananza, che non promettono nulla di buono. Vern si avvicina al soldato. Nota che l'attenzione di Jones è monopolizzata da alcune rovine che fanno capolino nella massa di rampicanti ed erbacce del sottobosco. «Di cosa pensi che si tratti?»
«Non hai mai visto il film della Disney?»
«Forse una volta, secoli fa. Perché tu...» Il ladro non trattiene un ghigno.
«E che cazzo, siamo stati tutti bambini, no?» Queste dovrebbero essere le rovine del castello di Malefica, la fata malvagia che ha lanciato la maledizione sulla bella addormentata.»
«Si chiama Carabosse, non Malefica», interviene Anna. A vederla così, ectoplasmatica e vaporosa, fa quasi paura. «È una delle fate malvagie del mondo di Faerie. Forse è lei che ha fatto da tramite tra la potente Oldisia e Perrault. Di certo ai miei tempi era un'alleata dello stregone.»
«Qualunque sia il suo nome, la sostanza non cambia», sentenzia Sequoia. «Spero soltanto che non si trasformi in un drago, come fa nel film.»
«Film?», le fa eco Anna.
«Lascia perdere.»
Everi guarda avanti, fin dove il sentiero fa una curva e viene inghiottito dagli alberi. «Avanti, su. Ho come l'impressione che non ci sia concesso rimanere fermi qui a lungo.»
Vern nota delle sagome in lontananza, ai margini dello sterrato. Ombre, forse illusioni ottiche. Nel dubbio preferisce non aspettare per scoprire la verità. «Andiamo.»


Man mano che avanzano, i quattro notano un crescente numero di rovine. Pezzi di muro, merlature avvolte dall'edera, aste di bandiere arrugginite e spezzate, mozziconi di torri di guardia crollate su se stesse.
«Di castelli ne avrò piene le palle per tutta la vita», dice Sequoia, in testa al gruppo con la spada pronta all'uso.
Vern si lascia sorpassare dalle due donne. Una volta in coda estrae gli occhialini e si guarda attorno. Finalmente riesce a distinguere le creature che attendono tra gli alberi. Sono orribili uccellacci, grossi e dalla testa umana, coi volti ritorti, da vecchie megere. Nonostante le ali esse preferiscono camminare su zampe artigliate, da rapaci. Sono Arpie, Erinni o forse donne della Tessaglia, pronte a scagliarsi sugli incauti viaggiatori che dovessero spingersi fuori dalla strada tracciata.
A un certo punto Jones fa cenno al gruppo di fermarsi. Poco più avanti il sentiero si allarga in una radura di forma vagamente circolare, dove le rovine sono più dense che altrove. Al centro dello spiazzo c'è lo scheletro annerito di un edificio. Restano in piedi parti di muri e pareti sbrecciate, nulla più. Le solite piante rampicanti avvolgono il tutto, raggiungendo una densità tale da costituire un materasso verdognolo nel cuore delle rovine medesime. Sopra di esso c'è un grande letto a baldacchino, posato in equilibrio sulla massa di edera e sulle pietre accatastate. Delle tendine di raso color senape nascondono alla vista gli eventuali occupanti del letto.
«Fico», mormora Vern, grattandosi il mento. «A quanto pare quell'imbecille di Perrault ha mantenuto una certa fedeltà alla fiaba originale. Ne deduco che dovremmo salvare la principessa che dorme là dentro, mentre una fata in menopausa cercherà di farci a pezzi.»
«Carabosse non è venuta nel vostro mondo», lo corregge Anna. «Questi percorsi sono solo le repliche di quelli originali.»
Sequoia flette i muscoli. «Allora aspettiamoci una fata malvagia a manovella, come il Barbablù a vapore che abbiamo incontrato prima». Detto ciò fa per avviarsi verso il baldacchino, ma Vern lo blocca.
«Senti, Conan, non credo che la tattica di avanzare come un bulldozer sia la più migliore. Perché non giochiamo d'astuzia?»
Jones lo squadra dall'alto al basso, irritato. «Per esempio?»
«Visto che ce la siamo tirata dietro, potremmo mandare Casper il fantasmino in avanscoperta. Dubito che qualcuno possa farle del male, giusto?»
Le attenzioni dei tre si concentrano su Anna. La ragazza non sembra entusiasta all'idea, ma annuisce. «Posso farlo.»
«Bene allora», si arrende Sequoia.
«Un'altra cosa», interloquisce Everi. «Nella fiaba della Bella Addormentata serve un principe che la risvegli con un bacio. Vern, per me sei perfetto per questo ruolo.»
Il ladro s'incupisce. «Mi stai prendendo per il culo?»
«No. Vai con Anna. Stai dietro di lei, noi vi guardiamo le spalle. Se c'è davvero una principessa da svegliare, forse tu potrai anticipare le mosse di Carabosse.»
Vern valuta per qualche istante l'opportunità di mandare al diavolo la maga, poi rinuncia. Non può tirarsi indietro, e comunque pensa che, rimanendo a debita distanza dal gigante e dalla Kendal, potrà usare gli occhiali di Perrault per cercare di capire meglio la natura di quel luogo.


Anna avanza fluttuando verso il baldacchino. Vern la segue a circa sei metri di distanza, coltello in mano, pronto a inforcare gli occhialini magici. Sequoia ed Everi sono rimasti al principio di quell'ultimo tratto di sentiero. Voltandosi il ladro li riesce a malapena a distinguere, nascosti come sono dalle ombre della foresta secolare.
Mentre la Bonacieux guadagna metri, non impedita dalle asperità del terreno e dai rampicanti che debordano fino allo sterrato, il ladro si guarda attorno. Man mano che si spinge verso il baldacchino nota delle ossa umane che spuntano dalle rovine e dall'edera avvolgente. All'inizio si tratta solo di qualche lampo di bianco tra il verde-rossiccio del manto di vegetazione, ma presto conta interi scheletri, che indossano i resti sbrindellati di abiti e scarpe.
«Ehi, ti dice niente tutta questa roba?», chiede ad Anna, che non pare prestare attenzione alle ossa.
La Bonacieux risponde senza girarsi. «Probabilmente sono i resti dei poveretti che Perrault ha costretto ad affrontare questo percorso. Normali ragazzi rapiti dal vostro mondo, così come le mogli di Barbablù che avete trovato nel castello del visconte. Tutto per nutrire il suo potere che vive di disperazione.»
«Rassicurante.»
Mentre Anna raggiunge il baldacchino, Vern si ferma. Sicuro di non essere visto inforca gli occhiali di Perrault. Immediatamente la distesa di rampicanti si punteggia di tenui luci blu. Sono le anime di chi è morto affrontando il percorso, simili a quelle delle mogli di Barbablù, intrappolate nelle segrete del suo maniero. Alzando lo sguardo nota ancora le arpie nascoste tra gli alberi, vigili ma immobili. Purtroppo, dal punto in cui si trova, non riesce invece a distinguere nulla del letto a baldacchino, se non Anna che ne attraversa le tende.
«Sacrebleu!», esclama poi la ragazza.
Vern sobbalza e, nonostante tutto, si prepara ad andare in suo soccorso. «Che c'è?», domanda.
«La principessa addormentata... io la conosco. È Anna Maria Luisa de Medici, moglie del Palatino. È immutata dai tempi in cui io ero viva, fatta di carne e di ossa.»
«Che succede?», urla di rimando Sequoia, quaranta metri più indietro.
«Aspetta un momento, cerco di capirci qualcosa», replica il ladro, tornando poi a rivolgersi alla Bonacieux. «Questa de Medici... è un'amica o una nemica?»
«Suo marito, Jan Wellem, era nemico di Luigi XIV. Quando ancora Perrault fingeva di servire Sua Maestà, questi pretese la de Medici come ostaggio, per garantirsi la non belligeranza del Palatinato nella guerra dei...»
«Sì, sì, va bene», la interrompe Vern. «Ora fai silenzio. Ti raggiungo e vediamo come salvarla.» Ripone gli occhiali in tasca, timoroso di perderli, e percorre di corsa i metri che lo separano dal baldacchino, attento a non inciampare nei rampicanti. C'è qualcosa che non gli torna in quella storia, ma è concentrato sulla probabile comparsa di Carabosse e non riesce a ragionare lucidamente.
Arrivato alla meta scosta la tenda di raso dal forte odore di muffa e raggiunge Anna dentro il baldacchino. Un sontuoso letto a due piazze occupa l'intero spazio. Sopra una coperta ricamata con motivi floreali è sdraiata una splendida donna, alta e dalla bellezza austera, vestita con un ricco abito in broccato, con fili d'oro che impreziosiscono il profilo del seno. I capelli della dama sono biondi, anche se alcune ciocche assai più scure fanno pensare a una tinta. Nonostante tutto Vern non può che rimanere ammaliato dal fascino della donna.
«Baciala», lo incita Anna. «Primi che arrivi la fata Carabosse.»
Quella prospettiva terrorizza il ladro, che però per indole non agisce mai per istinto. Recupera ancora una volta gli occhiali e se li infila. In una frazione di secondo si accorge dell'inganno. La vera natura di Anna Maria Luisa de Medici è mostruosa. La sua pelle è in parte umana e in parte scagliosa, mentre al posto delle gambe ha una grande coda da serpente che nasce all'altezza dell'addome.
Vern indietreggia, inorridito, ma in quel momento il mostro, forse una Lamia, spalanca gli occhi da rettile e balza in avanti, travolgendolo. Il ladro finisce a terra e viene trascinato nella distesa di rampicanti dalla presunta de Medici, che tenta più volte di azzannarlo alla gola. La creatura emette dei sibili e ha un alito che odora di ammoniaca. Vern riesce a schivarla a fatica, e al contempo la pugnala al fianco col serramanico. Sono tuttavia affondi deboli, visto che ha le braccia bloccate dal peso del mostro.
Ruota la testa all'indietro e urla. Si accorge che la Bonacieux volteggia lì vicino, incapace di aiutarlo. Per fortuna nota che Sequoia ed Everi stanno correndo in suo soccorso. Allo stesso tempo vede che anche le ombre nascoste nella foresta sono in movimento.
Sono caduti in una trappola, come veri e propri idioti, e ora rischiano di concludere lì la loro missione.
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LA SCELTA (1)


  • Pensate che Sequoia debba lanciarsi corpo a corpo contro la Lamia?
  • Preferite che il guerriero dell'Ordo copra le spalle a Everi, e che sia lei ad affrontare la Lamia con qualche incantesimo?
  • Volete che Vern cerchi di cavarsela da solo, mentre i suoi compagni vengono impegnati dalle creature del bosco?

LA SCELTA (2) Quale PDV (Punto di Vista) desiderate per il prossimo capitolo?


  • Sequoia Jones
  • Everi Kendal
  • Vern Achilles

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